I confini familiari: 5 strategie per salvaguardare una buona relazione tra genitori e figli che crescono

Cosa si intende per confini familiari?

Possiamo intendere i confini familiari come una linea immaginaria, ma anche molto concreta, che delimita alcuni membri della famiglia rispetto ad altri, pur consentendo a tutti di mantenere una vicinanza affettiva.

Anche se in maniera inconsapevole ognuno di noi ha una propria e ben definita rappresentazione di tali confini che utilizza per regolare i rapporti con gli altri membri della famiglia.

Come possiamo esserne certi? Ci sono occasioni in cui questi confini emergono molto chiaramente e comunicano all’interno e all’esterno chi fa parte della famiglia e con quale livello di appartenenza. La principale di queste occasioni è costituita dal Natale, una ricorrenza che tradizionalmente riunisce i membri più stretti di una famiglia. Non tutti saranno invitati al pranzo, alcuni riceveranno solo una visita o un regalo e ciò assume un significato ben preciso in termini di vicinanza e appartenenza.

Come cambiano i confini familiari

La vita delle famiglie si svolge lungo un vero e proprio ciclo nel quale avvengono continui cambiamenti. Questi cambiamenti hanno spesso a che fare con nuovi ingressi e quindi con l’apertura del campo relazionale coniugale per la nascita di un figlio o per l’inclusione di nuore o generi.

Oppure con un’uscita, come nel caso della morte di un nonno o di un figlio che esce di casa.

Parliamo qui nello specifico del confine generazionale, quello che separa le diverse generazioni (genitore/figlio, coppia genitoriale/insieme dei fratelli) lungo l’asse della responsabilità nei confronti dell’altro.

In ognuna di queste occasioni la famiglia nel suo insieme ed ognuno dei suoi componenti individualmente saranno chiamati ad allargare o stringere i propri confini in modo tale che l’organizzazione familiare risulti sempre equilibrata.

Quando i confini sono ambigui… quali conseguenze portano?

A prima vista potrebbe sembrare un processo semplice e lineare, ma in pratica può risultare anche molto difficile e creare disagi se le famiglie di origine non riescono ad accettare la realtà del cambiamento e faticano a lasciar andare.

Si può arrivare ad uno stile di parenting intrusivo, che consiste in una modalità disfunzionale nella quale i genitori non riconoscono ai figli la possibilità di conquistare uno spazio psicologico e una capacità di differenziarsi dalla famiglia di origine.

La gestione non corretta del processo di regolazione delle distanze, ad esempio, tra una neocoppia e la famiglia di origine crea dei confini ambigui.

Le conseguenze possono essere:

  • Stress e blocchi nel percorso evolutivo dell’individuo che si sentirà confuso e insicuro rispetto alla propria posizione nelle relazioni familiari,
  • Difficoltà da parte del figlio nell’acquisizione e nello sviluppo di una sana identità di coppia la quale farà molta fatica ad emergere e ad affermarsi a causa degli ostacoli familiari che incontra.

Helm Stierling (uno psichiatra tedesco) individua i tre atteggiamenti che assumono i genitori quando si prospetta la separazione dai figli:

  1.  Alcuni negano l’evento, “scaricando” in pratica il dolore del distacco sui figli
  2. Altri lo accolgono con entusiasmo, e ciò che viene negato in questo caso non è l’evento, ma l’esistenza stessa di questo dolore,
  3. Ma solo l’ultimo atteggiamento è quello migliore in quanto più funzionale. Quello dei genitori che esprimono la tristezza del distacco, unita però dalla convinzione di essere in grado di superare il vuoto che tale distacco provocherà.

5 spunti di riflessione per aiutare i genitori a lasciar andare i propri figli

  1. Ripensare al passato. Dal momento della nascita del proprio figlio i genitori hanno diverse occasioni nelle quali possono anticipare, diciamo in prova, il suo fisiologico distacco. Già l’inserimento al nido e poi la scuola rappresentano l’anticipazione di quello che sarà poi, molti anni dopo, lo svincolamento del figlio dalla famiglia. Hanno sperimentato il dolore del distacco consapevoli però della positività dell’esperienza che i figli si apprestavano ad intraprendere.
  2. Allentare i legami con i propri figli che sono diventati adulti non vuol dire essere eliminati dalla loro vita. Sentirsi ancora i protagonisti esclusivi nella vita dei propri figli impedirà loro di costruirsi la propria storia, da soli o in una nuova coppia. Il legame sta crescendo e va quindi trasformato in una “protezione flessibile” (Scabini, 1995) cioè in un atteggiamento che tiene conto sia degli aspetti di dipendenza che ancora permangono, sia degli aspetti di autonomia. La coppia genitoriale avrà il compito di supportare le scelte del figlio adattandole alla propria situazione personale. In questo modo i figli, già dall’età adolescenziale, sapranno di poter contare su una famiglia come luogo di dialogo e di orientamento alle proprie scelte.
  3. Reinvestire nel rapporto di coppia. i genitori sono in buona parte liberati dalla cura quotidiana dei figli e possono godere di maggiori tempi e spazi per riorganizzare la vita di coppia all’insegna del reciproco sostegno e alla condivisione di nuove o ritrovate attività con il partner.
  4. Potenziare o avviare rapporti con l’esterno che non siano più finalizzati alle esigenze dei figli, ma ai propri interessi, rinforzando le proprie relazioni sociali e amicali.
  5. Trasformare la generatività parentale (per intenderci quella attuata nei confronti dei propri figli) in generatività sociale assumendo la funzione di mentore nei confronti dei più giovani, quelli che appartengono alla stessa generazione dei figli. In pratica occuparsi di attività di promozione dei giovani nei posti di lavoro o, ad esempio, nelle organizzazioni presenti nella comunità, contribuendo al rafforzamento della generazione successiva.

Patrizia Paolini