Le tre maschere dell’inganno. Come riconoscere un manipolatore maligno.

Secondo lo psichiatra Jacques-Antoine Malarewicz non esiste una comunicazione che sia del tutto neutra, poiché tutte hanno insita una forma di manipolazione.

Quando però abbiamo a che fare con un narcisista perverso la manipolazione che viene messa in atto diventa una vera e propria forma di violenza non meno micidiale di un’aggressione fisica, ma più subdola e insidiosa, perché non lascia ferite visibili sul corpo. Lo scopo ultimo del narcisista perverso infatti è la distruzione dell’altro.

I narcisisti perversi si distinguono per avere un comportamento arrogante, critico e svalutante con la propria vittima. Nonostante ciò non è semplice riconoscerli e difendersi dai loro attacchi. Sono maestri dell’ambiguità che utilizzano per poter agire indisturbati. Mantengono così la loro ottima reputazione che si sono costruiti con pazienza nel tempo all’interno della loro cerchia sociale con uno scopo ben preciso. Queste persone diventano molto utili al manipolatore quando la sua vittima, isolata ed emarginata, chiederà sostegno a qualcuno di loro. Grazie al suo lavoro sotterraneo la vittima non verrà creduta, ma ignorata e, magari, addirittura derisa. Anche chi potrebbe nutrire qualche sospetto si tirerà indietro, perché gli interessi che lo legano al manipolatore gli impongono lealtà nei suoi confronti.

IL MOLESTATORE

A questa categoria appartengono gli individui che sono convinti di possedere la verità e pensano di essere gli unici a sapere ciò che è giusto per tutti. Appena ne hanno l’occasione si ergono a giudici anche in situazioni in cui il loro giudizio non solo non è richiesto, ma non è affatto di loro competenza.

Vogliono sempre imporre la loro volontà e le loro regole come se fossero le uniche possibili, criticando e svalutando le proprie vittime come se fossero totalmente incapaci.

I molestatori stanno però molto attenti a tenere tale atteggiamento solo in assenza di terze persone. Davanti ai testimoni riescono a far apparire le loro intromissioni come un sincero interessamento e i giudizi come consigli affettuosi. Insomma, con ambiguità e inganno dirigono la comunicazione a favore del loro obiettivo manipolatorio utilizzando, di volta in volta, messaggi ironici, sarcastici, ma sempre fumosi.

Chi ha avuto la sfortuna di avere a che fare con questo tipo di persone avrà notato come siano in grado di cambiare anche l’espressione del viso, lo sguardo e la postura a seconda della situazione o del fatto che si trovino a tu per tu con la propria vittima o in presenza anche di altre persone. Sembra proprio che indossino due maschere diverse. Chi li ha incontrati e riconosciuti li descrive come lupi travestiti da agnelli.

LA VITTIMA

È un ruolo che il manipolatore perverso usa per stabilire il proprio potere sull’altro.

Si pone come una vittima a cui tutto va sempre male, si lamenta, si dispera assumendo un atteggiamento che fa leva sul lato emotivo e sul bisogno di soccorrere il prossimo.

Ciò lo aiuta ad allentare la diffidenza dell’altro nei suoi confronti e a far cadere anche le ultime resistenze.

Il manipolatore-vittima drammatizza il suo bisogno di amore, di protezione e conforto. Ha bisogno di colmare la sua arcaica paura dell’abbandono, che è molto facile da comprendere poiché è una condizione che condividiamo tutti. A volte crea addirittura situazioni con difficoltà di ogni genere intorno a sé solo per riuscire ad attirare gli altri nella propria trappola e guidare così le loro azioni a suo piacimento.

La vittima bisognosa e impotente ha infatti il grande potere di indurre gli altri, spesso attraverso un sentimento di compassione o pietà, ad agire per migliorare la situazione e provare la soddisfazione di rendersi utili per gli altri, stimolando le capacità empatiche del prossimo.

Quando poi il manipolatore-vittima inserisce un pizzico di senso di colpa nell’altro, il gioco è fatto. È difficile per la vera vittima del manipolatore sostenere la responsabilità di aver fatto soffrire un’altra persona senza provare immediatamente l’impulso a fare qualcosa per rimediare ed alleviare il suo dolore.

IL CARITATEVOLE

È la maschera che il manipolatore indossa quando vuole che gli altri dipendano da lui.

Per raggiungere il suo scopo cercherà di rendersi utile in qualsiasi occasione, anche se non gli è richiesto. Si rivolge così alle persone più deboli e fragili insistendo per aiutarle. Questo comportamento gli permetterà di crearsi un’ottima reputazione nella propria cerchia sociale e sappiamo bene che la reputazione è la chiave che utilizza per guadagnare più facilmente la fiducia degli altri. Fa credere di avere una ferrea morale, saldi principi e valori.

Il suo altruismo però è solo superficiale e strumentale al perseguimento di interessi esclusivamente personali. Il momento in cui interviene per mostrare solidarietà per la sua vittima è anche il momento in cui approfitta per imporre la sua verità, le sue soluzioni e interpretazioni. Insomma, impone alla vittima il suo potere. Di fatto quindi non risolve alcun reale problema.

La maschera del caritatevole funziona meglio con chi è più disposto a rinunciare alla propria autonomia pur di avere l’illusione di essere aiutato, ma questa rinuncia può essere usata a sua volta dalla vittima per manipolare il caritatevole.

COME DIFENDERSI?

Il manipolatore perverso può indossare una sola di queste maschere, ma potrebbe anche indossarne più di una, alternandole a seconda della convenienza suggerita dalla situazione, dal contesto e dalla sua vittima.

I manipolatori riescono però nel loro intento  solo quando le vittime glielo permettono. Per questo motivo è importante saperli riconoscere e riuscire a distinguere i loro atteggiamenti tossici da altri comportamenti magari simili, ma isolati e senza intenti negativi o sopraffattori.  Se il loro modo di comunicare è inserito in un insieme di atteggiamenti che non ci convincono deve suonare subito un campanello d’allarme che ci metta in allerta rispetto ad un comportamento manipolatorio. Acquisire la consapevolezza di ciò che sta avvenendo è di fondamentale importanza.

Se un atteggiamento remissivo nei confronti del manipolatore espone la vittima ad un alto rischio, rispondere con aggressività alla sua comunicazione aggressiva contribuisce solo ad acuire un conflitto non costruttivo. È quindi da evitare per impedire che si ritorca contro la vittima stessa. La tecnica di comunicazione più efficace da contrappore è l’assertività che, in questi casi, non viene usata per raggiungere un accordo o un comune punto di vista con il manipolatore – impresa impossibile – ma avrà l’obiettivo di neutralizzare gli effetti nefasti della sua comunicazione tossica. All’ambiguità comunicativa del manipolatore viene contrapposta un’espressione chiara ed efficace delle proprie emozioni ed opinioni. Ciò crea equilibrio tra un comportamento passivo e uno aggressivo, permette alla vittima di agire nel suo interesse, difendendere il proprio punto di vista e i propri diritti.

Patrizia Paolini

 

 

 

 

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